lunedì 27 febbraio 2012

Godawari = Goduria




Goduria, piacere impiacentito, dall'animo alla carne, un estasi in bilico tra la pace e l'adrenalina.


Paradisiaco villaggio di montagna che pare esser stato creato dalla mia immaginazione, con consapevolezza, perchè di tutto ciò che potrei necessitare dispone, rappresenta una effimera perfezione, bellissima come la rapida fioritura di un fiore effimero, che dona tutta la sua bellezza in una sola giornata o addirittura mezza.
Un paio d'ore di distanza da Kathmandu, ovviamente in longboard, una 40ina di kilometri tra montagnette, piane e colline, attaccato dietro ai camion  in salita e a competere con i ciclisti, esterefatti dalla semplice efficenza del mio mezzo di locomozione, in discesa.
Strade, autobus fiammeggianti, simpatici abitanti che non negano un veloce saluto ad un veloce passante, alberi, campi coltivati, venditori di momo stradali che si destreggiano nella tipica cucina al vapore davanti a grovigli di automobili ingarbugliati nel traffico di un incrocio, anch'esso stradale come i venditori, un informazione richiesta troppo tardi per le erronee aspettative di andare chissà dove inseguendo un nome su una cartina.. e allora via richiusa la cartina altre strade, altri visi, altri sorrisi, altri profumi altra polvere, tanta polvere sulle strade nepalesi perturbate dal pesante rollio dei pneumatici dei camion dai colori sgargianti, che sollevano costanti quantità di polvere, sabbia e detriti che aleggiano nell'aria circostante codeste strade.


Una salita, una camminata, una piazza non deturpata da calcestruzzo o costruzioni commerciali che seguono gli illogici ideali tramandati e inflitti dai colonizzatori occidentali, di un tempio un piccolo abbozzo e una curiosa scalinata, mezza tetra e mezza illuminata da una candida luce che su gli edifici si riflette dorata.
D'un tratto un tuffo nel passato in questo ambiente quieto di un villaggio incontaminato da frenesia, distaccato dalla trafficata strada vicina e piuttosto attaccato ancora all'armonia della campagna.


Abitanti dai dolci sguardi nei miei confronti, che li distraggono da partite a carte da giocare, lana da filare, erbe negli orti da tagliare, vicino ad altri orti dove l'acqua ristagna in vasche di terra con precisione artefatte dalla mano umana per donare spazio al tanto amato ed essenziale riso; che dopo una così lunga passeggiata, vederlo in fronte a te in un piatto dona un inesplicabile sorriso.





Accompagnato dai soliti momo, con abbondante salsina mediamente piccante, che placano la fame all'istante e donano la necessaria energia al viandante per continuare a percorrere la strada sconosciuta verso una meta ignota. Una rilassante purificazione donata dal vento che scorre sulla pelle mentre veloci ruote uretaniche ruotano senza sosta se non quella desiderata per immortalare un istante, desiderio costante di preservare al meglio la memoria, di poter ricordare al meglio ogni viaggio e la sua storia.
Una lunga sosta tra campi gialli di fiori gialli che riflettono il giallo sole. Un lieto incontro con accogliente gioventù e la conseguente sosta prolungata nel estasi della conoscienza di diversi individui, di diversa età ed estrazione sociale, che però ascoltano la tua stessa musica e il loro svago al tuo è uguale.
Un lieve appetito, soddisfatto e immediatamente ripartito verso la sopra citata meta ignota, nota solamente nella presupposta realtà bidimensionale di una cartina, che verso il prossimo agglomerato urbano nominato Godawari mi dovrebbe portare. Con un filo di nostalgia della bella sosta appena consumata nelle gialle campagne di Harisiddhi, la ripartenza è già attuata, gambe che alternatamente posano i piedi sull'asfalto che diventa, passo dopo passo, sempre più pendente.
Una festa folkloristica in una piccola piazzetta ferma la mia ascesa per qualche momento, nel tentativo di comprendere il motivo di questo umano fermento, la causa scatenante di questo piccolo evento che invade la stretta strada rendendola ancor più ostile al traffico automobilistico, già così tanto incasinato da sembrare prodotto da un cervello autistico.
Proseguendo la rilassata ma celere passeggiata, la mia umana essenza si ritrova situata in un altro villaggio, quello che cercavo e sulla cartina.
Mi pareva tanto distante in realtà è stato un breve passaggio dalla quiete vita di campagna alla sopraelevata vita di montagna. Così con parecchio tempo che avanza visto il sollecito arrivo al predefinito obiettivo mi appropinquo a salire ancora verso un parco botanico citato nella mappa, guida cartacea, talvolta erronea ma per lo meno non invadente e silenziosa.
Una salita portentosa mi fa volare fuori dal mio corpo ad immaginare la prossima discesa da quella strada, ma una pioggiarellina leggera mi convince a perdere un po' di tempo per attendere che il fenomeno dell'evaporazione renda di nuovo il suolo bituminoso asciutto per il mio esoso svago su ruote influenzate nell'aderenza da ogni qualsiasi sostanza che si frapponga tra esse e l'asfalto.
La vista di un lavoratore locale, stremato dalla fatica di spingere una bicicletta con 200 kg di verdura su una salita ripidissima è l'ispirazione perfetta per distrarmi un po' lasciando che l'acqua residua evapori e fare una buona donazione della mia energia al mondo sperando che esso mi protegga durante il ritorno. Lo raggiungo, con uno scambio di sguardi ci comunico, carico anche il mio longboard sulla sua bici già stracolma di verdura ed inizio a spingere con lui il traballante mezzo in salita. Riconosco immediatamente il sollievo nei suoi occhi. Piano piano facciamo tutta la salita, svariati kilometri, fermandoci ogni 50 m per permettere al ciclo-mercante di vendere la sua merce alle massaie gioiose di rifornire la propria casa di verdura bella e profumata.




Una calma e rinfrancante visita ad un bellissimo parco botanico, un poco trasandato vista la stagione invernale non propizia all'agricoltura e il pessimo rapporto con la spazzatura plastica da parte dei nepalesi, ma pur sempre emozionante, un luogo distaccato con paesaggi fantascientifici.






Un ultima pausa, un'ultima meditazione, un ultimo respiro e via... si ritorna sui propri passi, ma questa volta ripercorrendoli all'inverso dotato di celere tavola a rotelle, una spinta, due, tre, quattro ed ecco la discesa.
Un respiro profondo, muscoli che si sciolgono, piedi che si dislocano in posizione agevole per la sensazione di equilibrio e sicurezza, respiro profondo, respiro profondo e finalmente eccolo, downhill. Il piacere di 2 ore di meditazione in 10 minuti, la concentrazione che raggiunge livelli impensabili, consapevolezza, riflessi pronti e occhi che guardano il futuro con i piedi che sentono il vibrevole presente. E giù, e giù, e giù, e giù...
Tra sassi, buche, sabbia, venditori ambulanti, lavori in corso, automobilisti folli guidanti in contromano, studenti di ritorno a casa sbalorditi da questo mezzo di trasporto mai visto.. e intanto io, l'alieno con la sua navicella spaziale, scorro veloce e silenzioso in mezzo a questo pacifico mondo di montagne e mattoni rossi. E ancora si scende, si curva, si derapa e soprattutto si scende, veloci, come i pensieri che se ne vanno del tutto, è la libertà, una pura percezione non sporcata da artefatte elaborazioni del cervello per giustificare scelte illogiche.. e così, libero di volare rasoterra scendo e la pendenza aumenta ancora e la parte che pareva troppo ripida e infattibile durante l'ascesa diventa un respiro solo, lungo e bellissimo, con emozioni senza fine, che veloci arrivano e scorrono per lasciare libera la porta della percezione, via d'accesso della concentrazione, materia basilare per lo svolgimento di questa rapidissima locomozione. Discesa, e ancora discesa, a onde che alternano pendenze perfette fino all'ultima curva stretta, deraposa, una compressione del terreno, una conca, l'aria che se ne va e così, con la mente libera ed anche i polmoni, finisce la discesa dei miei sogni, quella perfetta, completa di tutte le migliori sensazioni, che soddisfa pienamente i miei bisogni.


Un respiro, il pensiero che riprende, il longboard che in una salitina si ferma, e questa pervadente emozione.. semplicemente paradisiaca. GRAZIE.




Muscoli competenti che hanno ottimamente svolto il loro lavoro ora meritano un po' di riposo e con piacere poso il mio longboard nel microbus mi siedo e attendo. Tipica flemma nepalese per partire, continuare con il mio veicolo sarebbe stato più veloce, ma il giorno seguente per i miei muscoli sarebbe un dolore atroce e così libero e gioioso attendo iol microbus che mi trasporta fino alla vicina cittadina dove un venditore sta friggendo dei momo fantastici, un una frittura perfetta una croccante impanatura, una fragrante salsina, su questa torta di giornata sono la ciliegina.
Un altro bus, e un altro ancora, strada incredibilmente lunga per tornare a casa, incredibile come il fatto che l'avevo percora autonomamente all'andata essendomela così tanto goduta che veloce è passata nella mia mette e sotto i miei piendi che quasi mi pare di averla sorvolata.


Ultima sosta in una Patan già chiusa nell'ombra della notte, un ultimo spuntino, un ultimo microbus e finalmente di ritorno. Il giornaliero viaggio è stato pieno e lungo, tornare a casa, nella Kathmandu a me ospitale è un piacere. I suoni, i rumori, i negozi, il mercato di verdura, la tanto amichevole piazza e poi finalmente la casa, l'edificio che mi ospita, dove spesso il mio corpo si riposa in un comodo letto.


Ripenso a Godawari e ringrazio.




P.S.
Spesso le migliori scoperte derivano da degli errori, come il fatto che non avevo l'intenzione di recarmi a Godawari, ma ho sbagliato strada non vedendo un incrocio, distratto dalla ricerca di autoveicoli a cui aggrapparmi per farmi trainare un pochettino sulle collinose salite fuoristanti Kathmandu e dopo aver spinto altrove alle mie intenzioni per 20 km non ero di certo intenzionato a tornare indietro, e quindi come si fa sempre nella vita, come fa la vita, si prosegue.


E si prosegue anche a tornare a Godawari il giorno seguente e quello ancora successivo per continuare a godersi la paradisiaca strada dalla pendenza perfetta in uno splendido contesto.

domenica 26 febbraio 2012

Mondi che tramontano in mondi che albeggiano




Saluto questo sole al tramonto, che è lo stesso tuo che però cade su di te a piombo con la sua luce, bruciando dell'energia che qui sembra spegnersi e io allora la riempo un po' della mia per illuminarti la vita nel freddo inverno.
Non nascondere i tuoi occhi dietro a occhiali o maschere di vizi e stereotipi. Guardami manifestarmi nei tuoi luoghi, nei tuoi mondi in cui ti situi, studi e in casa rimpatri vestita di felpe dai colori sgargianti.
Assaporami nei gusti, negli odori, nei ricordi, nei frutti che dopo l'inverno torneranno a crescere e a profumare il tuo mondo di mercati, di colori.. spenti, pensieri lenti, frenati da un'illogica avidità del loro sfruttamento piuttosto che del loro godimento e della loro libertà. Pensieri liberi come libero è chi li produce, chi fandonie non si racconta, chi in un'illusione non s'induce.
Il sole che mentre qui si raffredda lì si riscalda è come un cane che si morde la coda: la rincorsa mia, che sono fatto della stessa energia tua che fuggi intorno a questo piccolo mondo e visto che sembra ridicolo mordersi la coda. Ti rincorro da fermo nella quiete sfruttando un vantaggio di rotazione che mi permetti di abbracciare per primo il sole e donargli una coperta che si posi su di te quando ti arriverà a trovare per portarti i suoi raggi la sua luce.


venerdì 24 febbraio 2012

Ratti e lamiere



Al calare delle tenebre, nascosti dall'ombra della notte, audaci ratti si rincorrorno sui tetti di una città militarizzata che reprime ogni istinto ad esplorare queste tenebre imponendo il coprifuoco ai sui abitanti umani e consentendo così questo susseguirsi di corse e rampicamenti dei sui abitanti roditori. Forse roditori anche di quella pazienza e tolleranza che tra i nepalesi sembra mai finire, con il loro perpetuarsi di balzi sui tetti in lamiere e squittii interminabili, estremamente minabili per gli aventi sonno leggero o per chi non riesce a distogliere il pensiero da questi sibili e rumori anche nell'intento divergente dal dormire, per esempio quello di descrivere l'ambiente circostante aiutato dalla pace della notte.

Una fabbrica di mattoni


Un mondo composto di tanti piccoli mondi che vivono legati nell'essenza e nelle esigingenze ma completamente distaccati per tutto il resto.
Piccole realtà fatte di piccole persone che si accontentano delle stesse poche cose, persone che non sanno nemmeno dell'esistenza delle altre piccole persone nelle altre piccole realtà, ma che spesso trovano stupore e sorriso nelle cose più semplici.




Piccole realtà dove, anche nell'artificialità di un paesaggio deturpato dal lavoro umano, l'uomo trova aiuto e conforto da parte di poveri animali e piante sacrificati a questo scopo.




Piccole realtà come una fabbrica di mattoni, produttrice del mezzo perfettamente mal'utilizzato in altre piccole realtà prossime per deturpare ulteriormente il paesaggio, a livelli tali che il povero produttore di mattoni nemmeno potrebbe immaginare, perchè quella d'altro canto è una realtà che non gli compete. Non comprendo nemmeno se gli compete sapere che anche la piccola fabbrica di mattoni dove lavora deturpa il paesaggio che lui stesso abita soltanto esistendo, con la sua grossa ciminiera che mangia carbone e spunta fumo nero e denso come catrame.




La fornace mangia-carbone si nutre di questo nero cibo dalla provenienza sconosciuta per quanto riguarda la geografia ma ben conosciuta per quanto riguarda la fatica, la sofferenza, la tragedia. Dai tempi dei tempi il lavoro in miniera è sempre lo stesso, sempre la stessa miseria, e se si tratta di carbone sempre la stessa sporcizia è addizionale alla miseria. Sporcizia che rimane sui vestiti, sulla pelle, nei polmoni.
Sofferenza, miseria e sporcizia che caratterizzano ogni industrializzazione, ogni tentativo di distaccarsi dalle esigenze essenziali e naturali; come una divina punizione che viene in ogni istante a mostrarci la retta via, a dimostrarci che c'è qualcosa di malsano e sbagliato in ogni realtà che vuole costruire piuttosto che trasmettere, anche se piccola e distaccata dal resto del mondo.




Una fornace che intiepidisce un clima invernale e indirettamente sfama tante bocche di tanti lavoratori che ci lavorano. Lavoratori con la schiena a pezzi, come le montagne di mattoni rotti che delimitano la fabbrica, che essi siano uomini o animali. Sicuramente potrebbero essere sfamati da una realtà differente, più naturale ed amichevole di una fornace incandescente che da ingoia pesanti mattoni crudi per poi risputare pesanti mattoni cotti (male), ma uomini e asinelli afflitti dalla fatica quotidiana non valutano questa possibilità, non immaginano un alternativa e si accontentano.. in tutti i sensi, perchè sono contenti della loro vita, della loro percezione. Per lo meno in apparenza, perchè i loro occhi sono un po' spenti, riaccesi di vivo fuoco solo dall'insolita presenza di esseri ugualmente a loro umani ma di razza caucasica, dalla pelle candida e dalla curiosità fervida.




Lavoratori sorridenti agli intrusi, fieri di mostrare il loro lavoro, senza nulla da nascondere, tranne la fatica per mettersi in posa sorridenti con il più possibile di mattoni sulla testa senza che nemmeno nessuno gliel'avesse domandato.




Estremamente sorridenti e fieri con le loro pile di mattoni rossi come tutto quell'ambiente, tutta la loro pelle, tutto il loro sangue.





venerdì 17 febbraio 2012

Il Vero OK di Kathmandu

Eccolo, il Vero OK di Kathmandu con il suo mitico FARAONE, eccolo, uguale, stesso gusto, stesso bel ripieno di carne, stessa salsina piccante che ci si sposa perfettamente. Stesso piacere al modico prezzo di 30 rupie, l'equivalente di 30 centesimi di euro.. chissà dov'è che risparmiano così tanto per riuscire a fare dei prezzi così.. probabilmente sullo stereotipo di igiene :)



Dedicato a tutti gli amici con cui ho condiviso tanti pasti a basso costo ed ai simpaticissimi pronunziatori della simpaticissima parola "panzrot".

Piccoli scorci di vita locale




Un po' di colore, un po' di calore. Coperte di lana di yak, impossibile sopravvivere all'inverno nepalese senza, anche perchè qui il concetto di riscaldamento delle case non esiste.. termosifone è una parola tanto lontana dai loro pensieri quanto lo è meditazione per noi europei.












Tra le viuzze del centro, di fronte al bar di fiducia di un caro amico.




Solitario rivenditore notturno, un volto umano nella buio della città, abitata nella notte quasi solo da cani randagi, vacche vaganti e immondizia.













Mucche che ruminano la rumenta.










In Italia c'è il Piaggio Porter, invece qui in Nepal c'è il Porter ma senza Piaggio.














Ancora un po' di Ktm.



sabato 11 febbraio 2012

Stomaco, intestino e cuore.




Bruciori di acidi, sentori gastrici, suggeriscono ipotesi di stati fisiologici più o meno 
sani con prospettive di miglioramento da patologie inesistenti solamente inerenti ad una 
falsata percezione di se stessi applicata ad una realtà inaccettabile, così definita a causa 
di stereotipi di igiene, su quale mano debba reggere il pene, quale mangiare e pulirsi il 
culo, quando mi basta lavarle per esser sicuro.. di essere comunque legato ad uno 
stereotipo d'igiene del tutto limitato da quel poco che mi è stato insegnato, mostrato.. ma 
ognuno vive diversamente per cui forse tutto è giusto o forse niente oppure  tutto è 
sbagliato, ma denigrereste uno sbaglio se fosse l'unico mezzo che vi è stato dato?


Fatto sta che la convinzione, porta sempre ad un'alterazione conseguente ad essa della 
propria percezione, che si manifesta in ogni azione ma soprattutto in ogni sensazione che 
diventa quindi condizione, limite illogico del primo stato illogico di convinzione.




Ritrovandomi a virere in una condizione non potrei far altro che usare l'adatto tempo condizionale, approcciandomi e pensare che se fossi la mia situazione gastrointestinale rassomiglierei a queste strade, ad un sorridente macellaio di maiale, che per quanto sorride non sa minimamente come maneggiare la carcassa di quel grasso animale, dal presunto desiderio carnale. Rassomiglierei al felice negoziante al tramonto sorridente, perchè il freddo non patente a causa della sua fruttuosa raccolta di sacchetti e plasticume che gli permette di accendersi un bel fuoco sotto il naso, per intiepidire le mani e gettare nei polmoni bitume. Rassomiglierei alla città in cui vivo e il suo milione di persone perchè questo mi nutre, m'inquina, le mie convinzioni mina. Non saper più dove guardare, non sapere cosa serve imparare, per primo di essenziale di questa società essenziale è l'analogia perfetta alla confusione intestinale conseguente a quella mentale afflitta dal dubbio di non comprendere più cosa ingerire, matematico terrore di moltiplicare addendi commestibili, a volte pessimi altre irresistibili, senza sapere quale prodotto possa scaturire, il prodotto finale che mi toccherà digerire.




La vita è una realtà supposta, supposta in tutti i sensi perchè il fatto che sia reale è 
del tutto da dimostrare mentre il fatto che ci sia stata messa nel culo è abbastanza 
palese. Fatto sta che ritrovandomi con questa supposta realtà piuttosto che quella 
condizionale del sentire un apparato gastrointestinale con cui avere a che fare mi 
appropinquai a soddisfare il materiale bisogno di satollezza, piacere dell'osservazione 
della bellezza della perfezione di una pancia colma. In questo caso di cosa colmarla era un 
dubbio visto l'orario prossimo al coprifuoco e invece il fatto che un rivenditore di 
satollezza prossimo non ci sarebbe stato mi affrettavo con passo felpato nel buio della 
notte per accorgermi che erravo.. ma erravo poco, presto giungevo al momo rivenditore, 
amante del fritto in olio motore.. per lo meno vicino e soprattutto l'unico in quell'ambito 
di luci spente, serrande chiuse, candele fuse che si spengono, sprigionando gli ultimi fumi 
che trattengono.
Momo fritti, ingeriti, senza dubbi od esitazione quando il nuovo amico appena presentato mi 
offre una degustazione, presentando il piatto battendosi sul petto e facendo con le mani 
l'imitazione di un animale cornuto presunto bufalo o montone.. Qualsiasi esso sia ottima la 
degustazione del suo cuore, buona la consistenza e ottimo il sapore.



Quali dubbi avere su cosa si possa digerire quando non si ha la minima idea di ciò che si 
possa ingerire?

venerdì 10 febbraio 2012

Ti saluto mentre voli nel cielo sul tetto del mondo

Mi ero perso nei tuoi occhi colorati come i miei, mi ero perso a sognare, a immaginare la tua bellezza, la tua purezza, la tua energia che sarebbero cresciute di anno in anno. Mi ero perso a immaginare senza più rendermi conto che raggiungevi le tue mete nello stesso tempo in cui io sbattevo le palpebre, e nemmeno il tempo di poterti osservare un pochettino, di poterti conoscere, di poter sorridere con te e te ne sei andata, perchè già perfetta, già completa. Mi felicito con te che hai adempito alla tua missione ed hai potuto liberarti dalle catene della vita terrena, mi auguro che rimani vicina a noi tutti che ne avremo sicuramente bisogno e non far caso al mio dispiacere o quello altrui, è solo l'ennesimo umano egoismo. Addio grande piccola Amelie. Viaggia senza più limiti nello spazio e nel tempo, visita tutto l'universo e poi riportamene un soffio, sussurrami la sua grandezza mentre sogno. Ti voglio bene.