giovedì 19 aprile 2012

Da Akhilesh a Patalaya


Trovarsi per fermarsi, conoscersi per riflettersi, la rinuncia al suddividire in banali insiemi per piuttosto condividere sensazioni effimere provenienti da nuovi sistemi.
Molteplici istanti, molteplici incontri e molteplici viaggi condivisi nell'immobilità dei corpi nei luoghi o dalla mobilità dei corpi nei non-luoghi.
Esseri congiunti dalla casualità del momento creano il susseguirsi di quieti momenti percettivi delle sensazioni ed altri esplicativi dei sentimenti.
Un insieme di esseri che racchiudono un insieme di mondi dai quali evadono per situarsi in altri sistemi ove l'osservazione oggettiva dell'avvenuto distaccamento sistemico diventa endemico e propaga senza freno nuovo pensiero nella mente. Prede succulente fatte di immagini rivelazioni, innovative percezioni, pronte da cogliere, da cacciare o semplicemente ricercare.




Un giorno una partenza, la sentenza definitiva ed inappellabile del distacco dall'abitabile anfratto, in cui per molto tempo mi sono situato. Una trinità in movimento che si aiuta reciprocamente a muoversi a stento infine riesce nel lento processo di ricerca ed accesso ad un affollato ed esageratamente caricato autobus. Persone di ogni genere ed estrazione sociale, qualche caucasico, un ubriaco, una cosa in comuni, tutti con l'uguale sensazione di schiacciamento, compressione corporea cheinduce un minimo risentimento nell'essersi avventurati fuori dai limiti prestabiliti, comodi, organizzati.


L'arrivo previsto, ma in un luogo non previsto, porta al fortuito incontro con dei ragazzi che hanno invece avuto un fortuito scontro, per la precisione un incidente, un cappottamento di un autobus che viaggiava tutt'altro che lento, fortunatamente solamente qualche taglio, graffio e contusione, in quella tutt'altro che fortunata situazione.
Nel proseguire il viaggio perciò si amplia l'insieme che va ad accludere questi ragazzi che la morte da poco sono riusciti a eludere.
Un cartello, una direzione scritta, qualche salto e la richiesta spicca agli occhi di un benevolo camionista che dal quel momento per un'oretta di viaggio diventa il nostro autista.



L'arrivo in un villaggio, clima caldo, soleggiato, il camion parcheggiato, lentamente dai molteplici zaini dei molteplici passeggeri viene scaricato, svuotato, mentre il cuore del sudetto di una particolare sensazione viene riempito, una cosa chiamata intuizione, che in un istante decreta la decisione che non sarà solo un luogo di passaggio ma bensì un luogo del quale voglio essere un felice ostaggio.



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